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Le memorie a commutazione resistiva al centro di un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Science dal Prof. Francesco Maria Puglisi di Unimore

I trend e le prospettive di utilizzo delle memorie a commutazione resistiva (memorie memristive) al centro dell'articolo " Memristive technologies for data storage, computation, encryption, and radio-frequency communication ”, scritto dal Prof. Francesco Maria Puglisi, associato di Elettronica presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”, che farà parte della copertura scientifica che la prestigiosa rivista Science ha organizzato per il settantacinquesimo anniversario della scoperta del transistor.

L'articolo, incentrato su una delle più promettenti tecnologie nanoelettroniche emergenti in svariati settori applicativi (memorie, computing neuromorfico, crittografia e sicurezza, telecomunicazioni), è scritto in collaborazione con leader mondiali del settore affiliati a IBM Zurigo, Università del Michigan, TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company - la più grande industria di semiconduttori al mondo), Chinese Academy of Sciences, University of Texas at Austin, Università di Granada e KAUST (King Abdullah University of Science and Technology).

Il Prof. Puglisi dell’Università di Modena e Reggio Emila è l'unico rappresentante italiano coinvolto nello studio e ha alle spalle notevole e comprovata esperienza nella ricerca su questi dispositivi.

I dispositivi memristivi sono una classe di nano-memorie elettroniche che permettono la regolazione della loro resistenza elettrica tra due o più livelli in modo non volatile (cioè permanente ma reversibile) applicando opportuni stimoli elettrici. Il loro punto di forza, rispetto alle memorie elettroniche convenzionali, è nella loro straordinaria efficienza energetica – cruciale per applicazioni autonome e sistemi portatili, soprattutto in un’ottica di transizione green.

La struttura di questi dispositivi è basata su un sottilissimo strato di materiale isolante inserito tra due strati metallici. Le caratteristiche del materiale isolante possono essere diverse (materiali a cambiamento di fase, ossidi di metallo, materiali magnetici o ferroelettrici) a seconda del tipo specifico di dispositivo che si intende realizzare, spesso posto in serie con altri elementi circuitali convenzionali (come il resistore o il transistor) per migliorare le loro prestazioni.

L'effetto memristivo è stato scoperto nel 1969 e il primo prodotto commerciale è apparso nel 2006, costituito da un banco di memoria memristiva non volatile da 4 Mbit basata su materiali magnetici. Negli ultimi anni, gli sforzi della comunità scientifica hanno portato ad un notevole miglioramento delle prestazioni di questi dispositivi, in particolare per ciò che riguarda velocità e, soprattutto, consumo energetico.

A partire dal 2021, le memorie memristive vengono utilizzate come memorie autonome e sono anche incorporate in specifici circuiti integrati per l'Internet of Things (smartwatches e smart glasses, dispositivi medici indossabili e personalizzabili, sensori autonomi, ma anche laptop e computer) e il loro valore di mercato supera i 600 milioni di dollari. Ma in questo studio viene rimarcato come questi dispositivi possano aprire le porte ad applicazioni futuribili e di cruciale rilevanza scientifica e importanza tecnologica come il calcolo avanzato e ispirato al cervello umano (per realizzare computer neuromorfici), la crittografia avanzata e la sicurezza dei dati, la telecomunicazione mobile ad altissima velocità e affidabilità. Questi nanodispositivi possono infatti rendere possibile l'implementazione hardware di reti neurali artificiali energeticamente efficienti in quanto capaci di comportarsi in modo molto simile alle sinapsi biologiche, oltre a rendere estremamente più veloce il processo matematico più importante degli algoritmi di machine learning, ossia la moltiplicazione tra vettori e matrici.

I dispositivi più all’avanguardia hanno dimostrato di poter svolgere oltre 10 trilioni di operazioni al secondo per watt di potenza elettrica impiegata, aprendo le porte alla vera rivoluzione dell’intelligenza artificiale pervasiva, impossibile senza innovazioni tecnologiche elettroniche di questa portata. Inoltre, la natura quantistica dei fenomeni fisici alla base del funzionamento di questi dispositivi li rende ideali anche per applicazioni di crittografia dei dati, in cui le inevitabili fluttuazioni quantistiche di alcuni parametri elettrici dei dispositivi, legate a cambiamenti della struttura atomica su nanoscala e impossibili da prevedere, vengono sfruttate per generare numeri casuali (alla base delle moderne tecnologie di autenticazione sicura – ad esempio le One Time Passwords usate dalle applicazioni di Internet Banking) ma anche “impronte digitali” uniche e intrinsecamente non clonabili per l’identificazione sicura di utenti e dispositivi elettronici. Inoltre, questi dispositivi possono anche essere sfruttati come interruttori a bassissimo consumo energetico e alta velocità per le comunicazioni 5G e 6G (di prossima generazione) rendendo possibile soppiantare l’attuale tecnologia a transistor, energeticamente meno efficiente.

Il consolidamento delle memorie memristive nel mercato avverrà tuttavia, sottolineano gli autori dell’articolo, solo con un ulteriore miglioramento delle loro prestazioni, accompagnato da una riduzione del loro costo, che potrà essere raggiunto attraverso l'ingegneria dei nanomateriali e dei nanodispositivi elettronici. Le previsioni di mercato delineano una crescita fino a circa 5,6 miliardi di dollari entro il 2026. In particolare, la varietà di materiali che possono essere sfruttati per realizzare dispositivi memristivi rende possibile ottimizzarli per specifiche applicazioni, in modo da massimizzarne le prestazioni per il calcolo avanzato oppure per la crittografia dei dati o per la comunicazione mobile.

Categorie: INGMO

Articolo pubblicato da: Ufficio Stampa Unimore - ufficiostampa@unimore.it il 17/06/2022