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Uomini di 10mila anni fa e le loro coltivazioni in uno studio Unimore - La Sapienza in copertina su Nature Plants

Uno studio che combina archeologia e botanica, condotto da ricercatori Unimore e dell’Università La Sapienza di Roma e appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Plants (guadagnando la copertina del numero di febbraio), rivela le abitudini di uomini preistorici di 10mila anni fa di coltivare e stoccare semi di specie che per l’agricoltura odierna sono considerati infestanti, preferendoli a piante con semi più grandi, poiché per queste caratteristiche di selvaticità garantivano rapidità nello sviluppo della pianta e alta produttività.

L’articolo dal titolo Plant behaviour from human imprints and the cultivation of wild cereals in Holocene Sahara , è frutto del lavoro di una equipe tutta italiana e di una lunga collaborazione fra ricercatori Unimore, in particolare la prof.ssa Anna Maria Mercuri del Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica del Dipartimento di Scienze della Vita, primo autore dell’articolo, con i colleghi dell’Ateneo romano, coordinati dal prof. Savino di Lernia, a capo di uno storico nucleo di ricerca archeologico operante da decenni nel Sahara libico, alla scoperta delle abitudini di popolazioni che per millenni hanno abitato quelle aree.

Lo studio spiega che non ci siamo sempre approcciati alla coltivazione delle piante con le medesime finalità: quelle che oggi sono piante domestiche non sarebbero state le più adatte per gli abitanti, cacciatori-raccoglitori e, successivamente, pastori, del sito archeologico di Takarkori (Libia del Sud), nel cuore di un deserto che un tempo è stato verde.

Durante gli scavi della missione archeologica nel Sahara - ha spiegato la prof.ssa Anna Maria Mercuri di Unimore - sono stati portati alla luce milioni di resti vegetali: tra questi oltre duecentomila semi sono stati osservati in piccole concentrazioni circolari, autentici “residui di azioni umane”, di cacciatori-raccoglitori prima, e pastori poi, del Sahara preistorico. La raccolta, lo stoccaggio e la lavorazione di cereali selvatici sono articolati lungo un arco temporale millenario, durante il quale cacciatori-raccoglitori (tra 10 e 8000 anni fa) e pastori dell’Olocene medio (tra 7000 e 5500 anni fa) si sono succeduti affinando pratiche di coltivazione indispensabili alla sopravvivenza”.

La ricerca, che ha previsto una complessa fase di identificazione di circa 30 accumuli di semi differenti e la loro datazione al carbonio 14, descrive almeno quattromila anni di manipolazione, stoccaggio e di autentiche pratiche “agricole”, senza che queste piante siano state mai domesticate.

La ricerca archeobotanica, coordinata dalla prof.ssa Anna Maria Mercuri, si è sviluppata in questi anni anche grazie a uno studio di genetica antica condotto assieme alla dott.ssa Rita Forniaciari, e la dott.ssa Laura Arru, nell'ambito della Scuola di Dottorato in Scienze, Tecnologie e Biotecnologie Agro-Alimentari (diretta dal prof. Andrea Pulvirenti).

La ricerca, potendosi avvalere, per le misurazioni delle cariossidi, delle conoscenze maturate a seguito del progetto SELCE della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (riguardante la diversità morfo-genetica e l’adattamento dei cereali selvatici ai cambiamenti climatici), dimostra che la diffusa idea che piante selvatiche (Echinochloa, Panicum, e Sorghum per fare alcuni esempi) siano oggi ‘infestanti aggressive’, perfino dotate di mimetismo per competere meglio con i cereali domestici, non è corretta: tali piante sono sempre state ‘selvatiche’ (con grande produzione di semi diffusi rapidamente e a crescita rapida anche con poca umidità) e all’uomo, per un certo periodo, sono state utili proprio per queste loro caratteristiche, che non sono mutate nonostante millenni di utilizzo.

Emerge chiaramente – ha concluso la prof.ssa Anna Maria Mercuri di Unimore - come nel nostro percorso di evoluzione culturale, la selezione di piante per scopo alimentare non sia sempre stata rivolta verso i tratti che oggi riconosciamo tipici, quasi indispensabili, nelle piante domestiche, come ad esempio la produzione di frutti grandi e che non cadono da soli a maturazione. Ogni fase di trasformazione globale deve aver obbligato piante ed esseri umani ad affrontare nuove sfide, innovare e sviluppare strategie adattive ingegnose. I formidabili cambiamenti climatici che hanno caratterizzato la storia del Sahara sono parte attiva di questi processi.

Riferimenti

Nature Plants (online 29 January 2018), Plant behaviour from human imprints and the cultivation of wild cereals in Holocene Sahara

Autori: Anna Maria Mercuri, Rita Fornaciari, Marina Gallinaro, Stefano Vanin, Savino di Lernia

 

 

Articolo pubblicato da: Ufficio Stampa Unimore - ufficiostampa@unimore.it il 30/01/2018